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TEVABONE - riassunto delle caratteristiche del prodotto

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Riassunto delle caratteristiche del prodotto - TEVABONE

RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO

Tevabone 70 mg compresse e 1 microgrammo capsule molli

2. composizione qualitativa e quantitativa

Una compressa contiene: 81,2 mg di alendronato monosodico monoidrato, equivalenti a 70 mg di acido alendronico.

Una capsula molle contiene: 1 µg di alfacalcidolo.

Eccipienti: olio di arachidi, miscela di mannitolo-sorbitolo-sorbitano-polioli di ordine superiore, etanolo.

Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1.

3. forma farmaceutica

Compressa e capsula molle

Compresse di acido alendronico da 70 mg

Compressa rotonda di colore da bianco a biancastro, piatta su entrambi i lati, con bordi smussati e la scritta “T” impressa su un lato e nessun marchio sull’altro lato.

Capsule molli di alfacalcidolo da 1 microgrammo

Capsula molle ovale di colore da bianco a biancastro, opaca, con la scritta “1.0” impressa in nero.

4. informazioni cliniche

4.1 indicazioni terapeutiche

Trattamento dell’osteoporosi post-menopausale. L’acido alendronico riduce il rischio di fratture vertebrali e dell’anca, mentre l’alfacalcidolo ha dimostrato una riduzione significativa della percentuale di cadute negli anziani.

4.2 posologia e modo di somministrazione

Tevabone consiste in due diverse formulazioni: una compressa contenente acido alendronico da assumere una volta alla settimana e una capsula contenente alfacalcidolo da assumere una volta al giorno. Devono essere rispettati il dosaggio e il metodo di somministrazione previsti per entrambe le formulazioni.

Indicazioni per assicurare un adeguato assorbimento di alendronato

Le compresse di acido alendronico da 70 mg vanno assunte una volta alla settimana, solo insieme ad acqua semplice, e almeno 30 minuti prima di qualsiasi alimento, bevanda o farmaco del giorno. Altre bevande, inclusa l’acqua minerale, gli alimenti e alcuni farmaci potrebbero ridurre l’assorbimento dell’acido alendronico (vedere paragrafo 4.5).

Il rispetto delle seguenti indicazioni permette di far giungere le compresse nello stomaco nel minor tempo possibile, riducendo la possibilità di irritazione e/o effetti indesiderati a livello locale ed esofageo (vedere paragrafo 4.4).

– Le compresse di acido alendronico da 70 mg vanno deglutite solo dopo essersi alzati dal letto per la giornata, con un bicchiere colmo d’acqua (almeno 200 ml).

– Il paziente non deve masticare la compressa o scioglierla in bocca, a causa del rischio di sviluppo di ulcere orofaringee.

1

– Il paziente non deve distendersi per almeno 30 minuti dopo aver assunto le compresse di acido alendronico da 70 mg.

– Il primo alimento della giornata deve essere consumato almeno 30 minuti dopo l’assunzione della compressa.

– Le compresse di acido alendronico da 70 mg non devono essere assunte al momento di coricarsi o prima di essersi alzati dal letto all’inizio della giornata.

I pazienti devono assumere integratori di calcio se l’introito dietetico non è adeguato (vedere paragrafo 4.4).

Non è stata stabilità la durata ottimale del trattamento con bisfosfonati per l’osteoporosi. La necessità di un trattamento continuativo deve essere rivalutata in ogni singolo paziente periodicamente in funzione dei benefici e rischi potenziali, in particolare dopo 5 o più anni d’uso.

Uso negli anziani

Negli studi clinici, non è stata dimostrata alcuna differenza legata all’età nei profili di efficacia o di sicurezza dell’acido alendronico. Non è pertanto richiesto alcun aggiustamento della dose nei pazienti anziani.

Uso nell’insufficienza renale

Non è necessario aggiustare la dose nei pazienti con velocità di filtrazione glomerulare (GFR) maggiore di 35 ml/min. L’acido alendronico non è raccomandato nei pazienti con insufficienza renale se la GFR è minore di 35 ml/min., in quanto non sono disponibili informazioni in proposito.

Le compresse di acido alendronico da 70 mg non sono state studiate per il trattamento dell’osteoporosi indotta dai glicocorticoidi.

Popolazione pediatrica

La sicurezza e l’efficacia di Tevabone nei bambini di età inferiore a 18 anni non sono state stabilite.

Tevabone non deve essere utilizzato in bambini di età inferiore a 18 anni a causa della mancata disponibilità di dati a tale proposito.

L’alfacalcidolo va assunto la sera.

La dose consigliata è di 1 µg al giorno. Durante la terapia, occorre monitorare le concentrazioni sieriche di calcio e, se sono elevate (> 2,6 mmol/l), è necessario verificare se il paziente assume altri agenti contenenti calcio. In caso affermativo, l’assunzione di tali agenti deve essere interrotta. Se ciò non è possibile, l’assunzione delle capsule di alfacalcidolo va sospesa fino a quando le concentrazioni sieriche di calcio non tornano ai valori normali (2,2–2,6 mmol/l).

Le capsule devono essere deglutite intere con una sufficiente quantità di liquido. Il medico deve stabilire individualmente la durata del trattamento per ogni paziente.

L’assunzione di Tevabone deve essere interrotta se entrambe le formulazioni sono inadatte al paziente.

I due componenti di Tevabone , l’acido alendronico e l’alfacalcidolo, possono esercitare effetti opposti per evitare fluttuazioni significative delle concentrazioni sieriche di calcio. Entrambe le sostanze possono influenzare le concentrazioni di calcio nel sangue: l’acido alendronico può ridurle, mentre l’alfacalcidolo può aumentarle. Il medico curante deve tenere conto di questo aspetto.

Data la natura del processo patologico dell’osteoporosi, Tevabone è da intendersi per l’uso a lungo termine.

4.3 controindicazioni

– Ipersensibilità all’alendronato e/o all’alfacal­cidolo o a uno qualsiasi degli eccipienti.

– Anomalie dell’esofago e altri fattori che ritardano lo svuotamento esofageo, come stenosi o acalasia.

– Impossibilità a stare in piedi o seduti con il busto eretto per almeno 30 minuti.

– Ipocalcemia.

Vedere anche paragrafo 4.4 “Avvertenze speciali e precauzioni di impiego”.

– Ipersensibilità nota alla vitamina D.

– Intossicazione manifesta da vitamina D.

2

– Concentrazioni plasmatiche di calcio superiori a 2,6 mmol/l, prodotto calcio-fosfato superiore a 3,7 (mmol/l)2 e alcalosi con livelli di pH superiori a 7,44 nel sangue venoso (sindrome latte-alcali, sindrome di Burnett).

– Ipercalcemia.

– Ipermagnesiemia.

– Pazienti in dialisi.

– I pazienti con anamnesi di calcoli renali o sarcoidosi sono maggiormente a rischio.

– Bambini e adolescenti.

I due componenti di Tevabone , l’acido alendronico e l’alfacalcidolo, possono esercitare effetti opposti per evitare fluttuazioni significative delle concentrazioni sieriche di calcio. Entrambe le sostanze possono influenzare le concentrazioni di calcio nel sangue: l’acido alendronico può ridurle, mentre l’alfacalcidolo può aumentarle. Il medico curante deve tenere conto di questo aspetto.

4.4 avvertenze speciali e precauzioni di impiego

L’acido alendronico può causare irritazione locale delle mucose del tratto gastrointestinale superiore. A causa del potenziale peggioramento della patologia di base, si deve agire con particolare cautela nel somministrare l’acido alendronico nei seguenti casi: pazienti con patologie attive a livello del tratto gastrointestinale superiore, quali disfagia, patologie esofagee, gastrite, duodenite o ulcere, o pazienti con storia recente (entro l’anno precedente) di patologie gastrointestinali importanti, quali ulcera peptica o sanguinamento gastrointestinale attivo, o chirurgia del tratto gastrointestinale superiore esclusa la piloroplastica (vedere anche paragrafo 4.3).

In pazienti in trattamento con acido alendronico sono state descritte reazioni a carico dell’esofago (alcune gravi e con necessità di ospedalizzazione), quali esofagite, ulcere esofagee ed erosioni esofagee, raramente seguite da stenosi esofagea. Il medico curante deve, pertanto, fare attenzione alla comparsa di qualsiasi segno o sintomo che indichi una possibile reazione esofagea ed avvisare il paziente di interrompere l’acido alendronico e rivolgersi a un medico nel caso si verifichino sintomi di irritazione esofagea, quali disfagia, dolore alla deglutizione o retrosternale, insorgenza o peggioramento di pirosi.

Il rischio di effetti avversi gravi a livello esofageo sembra essere maggiore nei pazienti che non assumono l’acido alendronico in maniera corretta e/o che continuano ad assumerlo dopo lo sviluppo di sintomi riferibili a irritazione esofagea. È quindi molto importante che il paziente conosca e comprenda bene le modalità di assunzione del farmaco (vedere paragrafo 4.2). Il paziente deve essere informato che se non vengono seguite queste istruzioni può aumentare il rischio di problemi esofagei.

Per i pazienti con esofago di Barrett noto, il medico che prescrive il farmaco deve valutare i benefici e i potenziali rischi dell’alendronato in base alle caratteristiche del singolo paziente.

Mentre in ampi studi clinici non è stato osservato un aumento del rischio, sono stati segnalati (dopo l’entrata in commercio del farmaco) rari casi di ulcere gastriche e duodenali, alcuni dei quali gravi e associati a complicanze. Non è possibile escludere un nesso di causalità.

L’osteonecrosi della mascella, generalmente associata a un’estrazione dentale e/o a un’infezione locale (osteomielite compresa), è stata segnalata nei pazienti oncologici trattati con regimi terapeutici comprendenti bisfosfonati somministrati principalmente per via endovenosa. Molti di questi pazienti sono stati inoltre sottoposti a chemioterapia e corticosteroidi. Anche nei pazienti affetti da osteoporosi trattati con bisfosfonati per via orale è stata segnalata un’osteonecrosi della mascella. Occorre prendere in considerazione la possibilità di effettuare una visita dentistica preventiva appropriata prima del trattamento con bisfosfonati nei pazienti che presentano fattori di rischio concomitanti (ad es., cancro, chemioterapia, radioterapia, corticosteroidi, scarsa igiene orale).

Durante il trattamento, questi pazienti devono, se possibile, evitare procedure odontoiatriche invasive. Nei pazienti che sviluppano osteonecrosi della mandibola e/o mascella durante la terapia a base di bisfosfonati, la chirurgia odontoiatrica può esacerbare la condizione. Per i pazienti che necessitano di procedure odontoiatriche, non esistono dati che suggeriscano se la sospensione del trattamento a base di bisfosfonati riduca il rischio di osteonecrosi della mandibola e/o mascella.

Il programma di gestione di ogni paziente deve fondarsi sul parere clinico del medico curante sulla base della singola valutazione di rischi e benefici.

3

Sono state riportate fratture atipiche sottotrocanteriche e diafisarie del femore, principalmente in pazienti in terapia da lungo tempo con bisfosfonati per l’osteoporosi. Queste fratture trasversali o oblique corte, possono verificarsi in qualsiasi parte del femore a partire da appena sotto il piccolo trocantere fino a sopra la linea sovracondiloidea. Queste fratture si verificano spontaneamente o dopo un trauma minimo e alcuni pazienti manifestano dolore alla coscia o all’inguine, spesso associato con reperti di diagnostica per immagini a evidenze radiografiche di fratture da stress, settimane o mesi prima del verificarsi di una frattura femorale completa. Le fratture sono spesso bilaterali; pertanto nei pazienti trattati con bisfosfonati che hanno subito una frattura della diafisi femorale deve essere esaminato il femore controlaterale. E’ stata riportata anche una limitata guarigione di queste fratture. Nei pazienti con sospetta frattura atipica femorale si deve prendere in considerazione l’interruzione della terapia con bisfosfonati in attesa di una valutazione del paziente basata sul rapporto beneficio rischio individuale.

Durante il trattamento con bisfosfonati i pazienti devono essere informati di segnalare qualsiasi dolore alla coscia, all’anca o all’inguine e qualsiasi paziente che manifesti tali sintomi deve essere valutato per la presenza di un’incompleta frattura del femore.

Nei pazienti trattati con bisfosfonati sono stati segnalati osteodinia, artralgia e/o mialgia. Nell’esperienza post-marketing, questi sintomi sono stati raramente gravi e/o hanno causato una limitazione della mobilità (vedere paragrafo 4.8 “Effetti indesiderati”). I tempi di esordio di questi sintomi sono risultati variabili da un giorno a diversi mesi dall’inizio del trattamento. Nella maggior parte dei pazienti, l’interruzione del trattamento ha dato luogo a una regressione dei sintomi. A seguito di una nuova somministrazione dello stesso farmaco o di un altro bisfosfonato, un sottogruppo di pazienti è andato incontro a una ricaduta dei sintomi.

I pazienti devono essere informati che, in caso di mancata assunzione di una dose di acido alendronico, devono assumere una compressa al mattino successivo al giorno in cui se ne sono accorti. Non devono prendere due compresse lo stesso giorno ma devono ricominciare ad assumere una compressa una volta a settimana, nel giorno prescelto come stabilito in precedenza.

L’acido alendronico non è consigliato nei pazienti con insufficienza renale se la GFR è minore di 35 ml/min. (vedere paragrafo 4.2).

Si devono considerare con attenzione cause di osteoporosi diverse dalla carenza di estrogeni e dall’età.

L’ipocalcemia deve essere corretta prima di iniziare la terapia con acido alendronico (vedere paragrafo 4.3). Anche altri disordini riguardanti il metabolismo minerale (come una carenza di vitamina D e l’ipoparatiro­idismo) devono essere trattati adeguatamente. Nei pazienti affetti da queste condizioni, deve essere effettuato il monitoraggio delle concentrazioni sieriche del calcio e dei sintomi dell’ipocalcemia nel corso del trattamento con acido alendronico. A causa degli effetti positivi dell’acido alendronico sull’incremento della mineralizzazione dell’osso, possono verificarsi diminuzioni delle concentrazioni sieriche del calcio e dei fosfati. Tali diminuzioni sono usualmente limitate e asintomatiche. Vi sono state tuttavia rare segnalazioni di ipocalcemia sintomatica, occasionalmente gravi e spesso a carico di pazienti con condizioni predisponenti (ad es., ipoparatiroidismo, deficit di vitamina D e malassorbimento del calcio). È particolarmente importante assicurare un adeguato apporto di calcio nei pazienti in terapia con glucocorticoidi.

L’alfacalcidolo può aumentare il livello di ipercalcemia e/o ipercalciuria se somministrato a pazienti con disturbi associati alla sovrapproduzione incontrollata di calcitriolo (ad es., leucemia, linfomi, sarcoidosi). In questi pazienti occorre monitorare le concentrazioni sieriche e urinarie del calcio.

In rari casi, l’olio di arachidi può essere causa di gravi reazioni allergiche.

Le capsule di alfacalcidolo contengono piccole quantità di etanolo (alcool), meno di 100 mg per una dose da 1.0 mcg.

I pazienti con rari problemi ereditari di intolleranza al fruttosio non possono assumere le capsule di alfacalcidolo da 1 microgrammo e, di conseguenza, non possono essere trattati con Tevabone.

4

Dal momento che, a causa delle insufficienti esperienze disponibili, l’acido alendronico non può essere consigliato ai pazienti con grave insufficienza renale (clearance della creatinina inferiore a 35 ml/min), Tevabone non è consigliato per il trattamento dei pazienti dializzati.

4.5 interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione

È probabile che cibo e bevande (inclusa l’acqua minerale), integratori di calcio, antiacidi e altri farmaci per somministrazione orale, se assunti contemporaneamente all’acido alendronico, interferiscano con l’assorbimento di quest’ultimo. Di conseguenza, i pazienti devono lasciare trascorrere almeno 30 minuti dall’assunzione dell’acido alendronico prima dell’assunzione orale di qualsiasi altro farmaco (vedere paragrafi 4.2 e 5.2).

La vitamina D e i suoi derivati non vanno somministrati insieme all’alfacalcidolo.

Essendo l’alfacalcidolo un potente derivato della vitamina D, è probabile che l’assunzione concomitante provochi un effetto additivo e quindi un maggiore rischio di ipercalcemia.

Nei pazienti trattati con preparati a base di digitale, l’ipercalcemia può essere causa di aritmie cardiache.

I pazienti che assumono contemporaneamente un preparato digitalico e l’alfacalcidolo in capsule da 1 microgrammo devono quindi essere sottoposti a un attento monitoraggio.

I pazienti che assumono l’alfacalcidolo in capsule da 1 microgrammo insieme a barbiturici o anticonvulsivanti induttori degli enzimi necessitano dosi più elevate di alfacalcidolo per ottenere l’effetto desiderato. Anche la difenilidantoina può compromettere l’effetto dell’alfacalcidolo.

Analogamente, i glucocorticoidi possono attenuare l’effetto dell’alfacalcidolo.

Poiché i sali biliari esercitano un ruolo importante nell’assorbimento dell’alfacalcidolo, il trattamento a lungo termine con i sequestranti degli acidi biliari (colestiramina, colestipolo), il sucralfato e gli antiacidi con elevato contenuto di alluminio può essere dannoso. Per questo motivo, l’alfacalcidolo in capsule da 1 microgrammo e gli antiacidi contenenti alluminio non vanno assunti insieme e occorre rispettare un intervallo di 2 ore.

L’effetto dell’alfacalcidolo è potenziato dalla cosomministrazione di estrogeni nelle donne in peri e postmenopausa.

Il rischio di ipercalcemia aumenta con la somministrazione concomitante di prodotti contenenti calcio, tiazidi o altri farmaci che aumentano le concentrazioni di calcio nel sangue.

4.6 Gravidanza, allattamento e fertilità

Tevabone è destinato unicamente all’uso nelle donne in post-menopausa, pertanto non deve essere utilizzato durante la gravidanza o l’allattamento.

Non vi sono dati adeguati sull’uso di Tevabone nelle donne in gravidanza. Gli studi sugli animali con l’alendronato non indicano effetti nocivi diretti in relazione alla gravidanza, allo sviluppo embrionale/fetale o allo sviluppo post-natale. L’alendronato ha causato distocia correlata all’ipocalcemia nei ratti in gravidanza (vedere paragrafo 5.3). Gli studi sugli animali hanno mostrato ipercalcemia e tossicità riproduttiva con dosi elevate di vitamina D (vedere paragrafo 5.3). Non è noto se l’alendronato venga escreto nel latte materno. L’alfacalcidolo e alcuni dei suoi metaboliti attivi vengono escreti nel latte materno.

4.7 effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari

L’acido alendronico e l’alfacalcidolo esercitano un’influenza nulla o trascurabile sulla guida e sull’uso di macchinari.

4.8 effetti indesiderati

Acido alendronico

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In uno studio clinico della durata di un anno, nelle donne in post-menopausa con osteoporosi, i profili globali di sicurezza dell’acido alendronico in compresse da 70 mg in monosomministra­zione settimanale (n=519) e acido alendronico 10 mg/die (n=370) sono risultati simili.

In due studi della durata di tre anni di disegno sostanzialmente identico, nelle donne in post-menopausa (acido alendronico 10 mg: n=196, placebo: n=397), i profili globali di sicurezza dell’acido alendronico 10 mg/die e del placebo sono risultati simili.

Gli eventi avversi segnalati dagli sperimentatori come possibilmente, probabilmente o sicuramente correlati al farmaco sono presentati nella tabella seguente se si sono verificati in ≥ 1% dei pazienti trattati con acido alendronico 10 mg/die o a un’incidenza superiore rispetto ai pazienti trattati con il placebo negli studi di tre anni. Vedere la Tabella 1.

abella 1

Studio di un anno

Studi di tre anni

Acido alendronico 70 mg una volta alla settimana (n=519) [%]

Acido alendronico 10 mg una volta al giorno (n=370) [%]

Acido alendronico 10 mg una volta al giorno (n=196) [%]

Placebo (n=397) [%]

Gastrointestinali

Dolore addominale

3,7

3,0

6,6

4,8

Dispepsia

2,7

2,2

3,6

3,5

Rigurgito acido

1,9

2,4

2,0

4,3

Nausea

1,9

2,4

3,6

4,0

Distensione addominale

1,0

1,4

1,0

0,8

Stipsi

0,8

1,6

3,1

1,8

Diarrea

0,6

0,5

3,1

1,8

Disfagia

0,4

0,5

1,0

0,0

Flatulenza

0,4

1,6

2,6

0,5

Gastrite

0,2

1,1

0,5

1,3

Ulcera gastrica

0,0

1,1

0,0

0,0

Ulcera esofagea

0,0

0,0

1,5

0,0

Muscoloscheletr ici

Dolore muscoloscheletri co (ossa, muscoli o articolazioni)

2,9

3,2

4,1

2,5

Crampi muscolari

0,2

1,1

0,0

1,0

Neurologici

Cefalea

0,4

0,3

2,6

1,5

Come tutti i medicinali, Tevabone può causare effetti indesiderati sebbene non tutte le persone li manifestino.

Per definire la frequenza degli effetti indesiderati sono state utilizzate le seguenti categorie:

Molto comuni:

più di un paziente su 10 pazienti trattati

1/10

Comuni:

da 1 a 10 pazienti su 100 pazienti trattati

1/100, <1/10

Non comuni:

da 1 a 10 pazienti su 1000 pazienti trattati

1/1000, <1/100

Rari:

da 1 a 10 pazienti su 10.000 pazienti trattati

1/10.000, <1/1000

Molto rari:

Meno di un paziente su 10.000 pazienti trattati

<1/10.000

Frequenza non

la frequenza non può essere definita sulla

la frequenza non può essere

nota:

base dei dati disponibili.

definita sulla base dei dati disponibili.

6

Negli studi clinici e/o nell’esperienza post-marketing sono stati segnalati anche gli effetti indesiderati seguenti.

Compresse di alendronato

Disturbi del sistema immunitario

Rari: reazioni di ipersensibilità, inclusi orticaria e angioedema.

Disturbi del metabolismo e della nutrizione

Rari: ipocalcemia sintomatica [principalmente in pazienti con fattori predisponenti (vedere paragrafo 4.4)].

Patologie del sistema nervoso

Comuni: cefalea.

Patologie dell’occhio

Rari: uveite, sclerite, episclerite.

Patologie gastrointestinali

Comuni: dolore addominale, dispepsia, stipsi, diarrea, flatulenza, ulcera esofagea*, disfagia*, distensione addominale, rigurgito acido.

Non comuni: nausea, vomito, gastrite, esofagite*, erosioni esofagee*, melena.

Rari: stenosi esofagea*, ulcera orofaringea*, perforazione, ulcere e sanguinamento del tratto gastrointestinale superiore (SUP) (vedere paragrafo 4.4).

* Vedere paragrafi 4.2 e 4.4.

Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo

Non comuni: eruzione cutanea, prurito, eritema.

Rari: eruzione cutanea con fotosensibilità.

Molto rari e casi isolati: casi isolati di reazioni cutanee gravi, incluse sindrome di Stevens-Johnson e necrolisi epidermica tossica.

Patologie del sistema muscoloscheletrico e del tessuto connettivo

Comuni: dolore muscoloscheletrico (ossa, muscoli e articolazioni).

Rari: fratture atipiche sottotrocanteriche e diafisarie del femore (reazione avversa di classe dei bisfosfonati) (vedere paragrafo 4.4).

in pazienti trattati con bisfosfonati è stata segnalata osteonecrosi della manibola e/o mascella. La maggior parte delle segnalazioni si riferisce a pazienti oncologici, ma sono stati anche segnalati casi in pazienti con osteoporosi. L’osteonecrosi della mandibola e/o mascella è generalmente associata a un’estrazione dentale e/o un’infezione locale (inclusa l’osteomielite). Si ritiene che altri fattori di rischio siano la diagnosi di cancro, la chemioterapia, la radioterapia, i corticosteroidi e una scarsa igiene orale; dolore muscoloscheletrico acuto (ossa, muscoli o articolazioni) (vedere paragrafo 4.4).

Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione

Rari: sintomi transitori di una reazione della fase acuta (mialgia, malessere e, raramente, febbre), tipicamente in associazione con l’inizio del trattamento.

Durante l’esperienza post-marketing sono state segnalate le seguenti reazioni (la cui frequenza non è nota):

Patologie del sistema nervoso Capogiri/vertigini, disgeusia.

Patologie dell’orecchio e del labirinto

Vertigini.

Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo

Alopecia.

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Patologie del sistema muscoloscheletrico e del tessuto connettivo Tumefazione delle articolazioni.

In pazienti sottoposti al trattamento a lungo termine con l’acido alendronico sono state segnalate fratture del femore. La presenza di dolore, indebolimento o disagio a livello femorale può costituire un’indicazione prematura di una possibile frattura ossea.

Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione Spossatezza, astenia, tumefazione di mani o gambe.

Esami diagnostici

Negli studi clinici, sono state riportate riduzioni asintomatiche, lievi e transitorie del calcio e del fosfato sierici rispettivamente nel 18% e nel 10% circa dei pazienti trattati con alendronato 10 mg/die rispetto al 12% e 3% circa di quelli trattati con placebo. Tuttavia, le incidenze delle riduzioni del calcio sierico fino a valori <8,0 mg/dl (2,0 mmol/l) e del fosfato sierico fino a valori di ≤ 2,0 mg/dl (0,65 mmol/l) rilevate nei due gruppi di trattamento sono risultate simili.

Alfacalcidolo in capsule molli

I seguenti effetti indesiderati sono stati osservati in pazienti trattati con alfacalcidolo in capsule da

1 microgrammo.

Sono state segnalate reazioni cutanee allergiche e shock anafilattico, quest’ultimo indotto dall’olio di arachidi, uno degli eccipienti delle capsule da 1 microgrammo di alfacalcidolo. In rari casi, l’olio di arachidi può essere causa di gravi reazioni allergiche.

Se la dose di alfacalcidolo in capsule da 1 microgrammo non viene aggiustata in base alle caratteristiche individuali, si possono verificare aumenti delle concentrazioni ematiche di calcio. Le concentrazioni tornano entro l’intervallo normale quando si interrompe temporaneamente il farmaco. La spossatezza, i sintomi gastrointestinali, la sensazione di sete e il prurito possono essere segni di un aumento delle concentrazioni ematiche di calcio.

Molto raramente, in pazienti trattati con l’alfacalcidolo si verificano delle calcificazioni eterotopiche (cornea e vasi sanguigni), che si sono rivelate reversibili.

Precedenti esperienze hanno mostrato che aumenti lievi e transitori delle concentrazioni di fosfati si verificano solo raramente nei pazienti che assumono l’alfacalcidolo. Tali aumenti possono essere controbilanciati dalla somministrazione di inibitori dell’assorbimento dei fosfati (ad es., preparati a base di calcio).

Nei pazienti in terapia con alfacalcidolo in capsule da 1 microgrammo, le concentrazioni ematiche di calcio e fosfato devono essere monitorate regolarmente. I controlli vanno effettuati a intervalli settimanali o mensili. All’inizio del trattamento possono essere necessarie misurazioni più frequenti.

In rari casi, l’olio di arachidi può essere causa di gravi reazioni allergiche.

I due componenti di Tevabone , l’acido alendronico e l’alfacalcidolo, possono esercitare effetti opposti per evitare fluttuazioni significative delle concentrazioni sieriche di calcio. Entrambe le sostanze possono influenzare le concentrazioni di calcio nel sangue: l’acido alendronico può ridurle, mentre l’alfacalcidolo può aumentarle. Il medico curante deve tenere conto di questo aspetto.

4.9 sovradosaggio

Acido alendronico

L’ipocalcemia, l’ipofosfatemia e gli eventi avversi del tratto gastrointestinale superiore, quali disturbi gastrici, pirosi gastrica, esofagite, gastrite o ulcera, possono essere la conseguenza di un sovradosaggio o­rale.

8

Non sono disponibili informazioni specifiche sul trattamento di un sovradosaggio con acido alendronico. Somministrare latte o antiacidi che si legano all’acido alendronico. A causa del rischio di irritazione esofagea, non indurre il vomito e tenere il paziente rigorosamente con il busto eretto.

Alfacalcidolo

Non sono stati osservati danni in pazienti che hanno assunto accidentalmente un singolo sovradosaggio (25–30 µg di alfacalcidolo).

Un sovradosaggio più prolungato di alfacalcidolo in capsule da 1 microgrammo può indurre ipercalcemia, con potenziali esiti fatali in alcune circostanze.

La sindrome da ipercalcemia presenta caratteristiche cliniche non distintive: astenia, spossatezza, esaurimento, cefalea, sintomi gastrointestinali (nausea, vomito, stipsi o diarrea, pirosi), secchezza delle fauci, dolore a muscoli, ossa e articolazioni, prurito o palpitazioni.

In caso di compromissione della capacità di concentrazione renale, si possono verificare anche poliuria, polidipsia, nicturia e proteinuria. Oltre alla riduzione della dose o all’interruzione temporanea dell’alfacalcidolo, si possono adottare le seguenti misure, a seconda della gravità dell’ipercalcemia: una dieta a basso contenuto o priva di calcio, la somministrazione di liquidi, la dialisi, la somministrazione di diuretici ad azione maggiore, glucocorticoidi e calcitonina.

In caso di sovradosaggio acuto, una tempestiva lavanda gastrica e/o somministra­zione di olio di paraffina può ridurre l’assorbimento e accelerare l’escrezione nelle feci.

Non esiste un antidoto specifico.

5. proprietà farmacologiche

5.1 proprietà farmacodinamiche

Categoria farmacoterapeutica:

Acido alendronico: bisfosfonato, per il trattamento delle malattie delle ossa, codice ATC: M05BA04

Alfacalcidolo: derivato della vitamina D3 Codice ATC: A11CC03

Acido alendronico

Il principio attivo è un bisfosfonato che inibisce il riassorbimento osseo osteoclastico senza effetto diretto sulla formazione di nuovo osso. Studi preclinici hanno mostrato che l’acido alendronico si accumula in maniera preferenziale nei siti di riassorbimento osseo attivo. Viene inibita l’attività osteoclastica, ma il reclutamento e l’adesione degli osteoclasti non sono alterati. L’osso formatosi durante il trattamento con l’acido alendronico è qualitativamente normale.

Trattamento dell’osteoporosi post-menopausale

L’osteoporosi viene definita come valore della densità minerale ossea (DMO) della colonna vertebrale o della regione dell’anca inferiore di 2,5 deviazioni standard rispetto al valore medio di una popolazione giovane normale o come anamnesi di frattura da fragilità, indipendentemente dalla DMO.

L’equivalenza terapeutica dell’acido alendronico 70 mg in monosomministra­zione settimanale (n=519) e dell’acido alendronico10 mg/die (n=370) è stata dimostrata in uno studio multicentrico di un anno su donne in post-menopausa con osteoporosi. Gli aumenti medi della DMO dal basale a livello del tratto lombare ad un anno sono stati del 5,1% (intervallo di confidenza [IC] 95%: 4,8–5,4%) nel gruppo trattato con 70 mg in monosomministra­zione settimanale rispetto al 5,4% (IC 95%: 5,0–5,8%) nel gruppo trattato con 10 mg/die. Gli aumenti medi della DMO sono stati del 2,3% e del 2,9% nella regione del collo del femore e del 2,9% e 3,1% in tutta l’anca, rispettivamente per i gruppi trattati con 70 mg in monosomministra­zione settimanale e 10 mg una volta al giorno. I due gruppi sono risultati simili anche riguardo agli incrementi della DMO in altri distretti ossei.

Gli effetti dell’acido alendronico sulla massa ossea e sull’incidenza di fratture nelle donne in postmenopausa sono stati esaminati in due studi iniziali sull’efficacia, di disegno identico (n=994), e nel Fracture Intervention Trial (FIT, n=6459).

Negli studi iniziali sull’efficacia, gli aumenti medi della DMO con l’acido alendronico 10 mg/die confrontati con il placebo a tre anni sono stati dell’8,8%, 5,9% e 7,8% a livello della colonna vertebrale, del collo del femore e del trocantere, rispettivamente. Anche la DMO dello scheletro in toto è aumentata in

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maniera significativa. Si è verificata una riduzione del 48% (acido alendronico 3,2% rispetto a placebo 6,2%) della proporzione di pazienti donne trattate con acido alendronico con una o più fratture vertebrali rispetto a quelle trattate con il placebo. Nell’estensione a due anni di questi studi, la DMO ha continuato ad aumentare a livello della colonna vertebrale e del trocantere e si è mantenuta stabile nella regione del collo del femore e dello scheletro in toto.

Il FIT (Fracture Intervention Trial ) è stato costituito da due studi controllati con placebo sull’acido alendronico somministrato una volta al giorno (5 mg al giorno per due anni e 10 mg al giorno per uno o due ulteriori anni):

– FIT 1: uno studio di tre anni su 2027 pazienti donne con almeno una frattura vertebrale (da compressione) al basale. In questo studio, l’acido alendronico una volta al giorno ha ridotto l’incidenza di 1 o più nuove fratture vertebrali del 47% (acido alendronico 7,9% rispetto a placebo 15,0%). È stata inoltre rilevata una riduzione statisticamente significativa dell’incidenza di fratture dell’anca (1,1% rispetto a 2,2%, una riduzione del 51%).

– FIT 2: uno studio di quattro anni su 4432 pazienti donne con ridotta massa ossea ma senza fratture vertebrali al basale. In questo studio, è stata osservata una differenza significativa nell’analisi del sottogruppo di donne osteoporotiche (37% della popolazione globale dello studio, con osteoporosi secondo la definizione di cui sopra) nell’incidenza di fratture dell’anca (acido alendronico 1,0% rispetto al placebo 2,2%, una riduzione del 56%) e nell’incidenza di 1 o più fratture vertebrali (2,9% rispetto al 5,8%, una riduzione del 50%).

Alfacalcidolo

L’alfacalcidolo (1-alfa-idrossicolecal­ciferolo) viene convertito molto rapidamente in calcitriolo (1,25-diidrossicole­calciferolo) nel fegato. Il calcitriolo è considerato il principale metabolita del colecalciferolo (vitamina D3) e mantiene l’equilibrio del metabolismo di calcio e fosfato. Il principale meccanismo d’azione dell’alfacalcidolo è dovuto all’aumento delle concentrazioni di 1,25-diidrossicole­calciferolo in circolazione, che determina un maggiore assorbimento intestinale di calcio e fosfato. Questo favorisce la mineralizzazione ossea, riduce le concentrazioni di paratormone e inibisce il riassorbimento os­seo.

Nelle persone con compromissione dell’1-alfa-idrossilazione a livello renale, la somministrazione di alfacalcidolo consente una sufficiente formazione di calcitriolo e quindi contrasta la carenza di vitamina D.

Associazione di acido alendronico e alfacalcidolo (Tevabone)

L’associazione facilita il trattamento dell’osteoporosi. Entrambi i principi attivi, l’acido alendronico e l’alfacalcidolo, aumentano la mineralizzazione dell’osso, ma agiscono in sinergia secondo meccanismi differenti. L’acido alendronico inibisce i processi catabolici nell’osso, che sono favoriti dagli effetti anabolici esercitati sull’osso dall’alfacalcidolo. L’acido alendronico riduce il rischio di fratture vertebrali e non vertebrali, ad es. fratture dell’anca, mentre l’alfacalcidolo riduce significativamente la frequenza delle cadute negli anziani. A causa degli effetti farmacologici di entrambe le sostanze, l’assunzione associata riduce i possibili rischi di ipocalcemia, ipercalcemia e ipercalciuria.

5.2 proprietà farmacocinetiche

Acido alendronico

Assorbimento

Rispetto ad una dose di riferimento somministrata per via endovenosa, la biodisponibilità orale media dell’acido alendronico nelle donne è stata dello 0,64% per dosi da 5 a 70 mg, somministrate dopo il digiuno notturno e 2 ore prima di una colazione standardizzata. Allo stesso modo, la biodisponibilità si è ridotta a circa lo 0,46% e lo 0,39% quando l’acido alendronico è stato somministrato un’ora o mezz’ora prima di una colazione standardizzata. Negli studi sull’osteoporosi, l’acido alendronico è risultato efficace quando è stato somministrato almeno 30 minuti prima del primo alimento o bevanda della giornata.

La biodisponibilità è stata trascurabile quando l’acido alendronico è stato somministrato con o entro le due ore da una colazione standardizzata. La somministrazione concomitante di caffè o succo di arancia con acido alendronico ne ha ridotto la biodisponibilità di circa il 60%.

In soggetti sani, il prednisone somministrato per via orale (20 mg tre volte al giorno per cinque giorni) non ha prodotto cambiamenti clinicamente significativi della biodisponibilità orale dell’acido alendronico (un incremento medio dal 20 al 44%).

Distribuzione

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Studi sul ratto mostrano che, in seguito alla somministrazione endovenosa di 1 mg/kg, l’acido alendronico, inizialmente distribuito nei tessuti molli, viene rapidamente ridistribuito a livello osseo o escreto nelle urine. Nell’uomo il volume medio di distribuzione allo stato di equilibrio, esclusivo dell’osso, è almeno di 28 litri. Le concentrazioni plasmatiche di farmaco in seguito a dosi orali terapeutiche sono troppo basse per essere rilevate analiticamente (< 5 ng/ml). Nell’uomo il legame con le proteine plasmatiche è di circa il 78%.

Biotrasformazione

Sia nell’uomo che nell’animale non vi è evidenza che l’acido alendronico venga metabolizzato.

Eliminazione

In seguito alla somministrazione endovenosa di una singola dose di acido alendronico marcato con 14C, circa il 50% della radioattività è stato escreto nelle urine entro 72 ore e non è stata riscontrata radioattività, se non minima, nelle feci. Dopo la somministrazione endovenosa di una singola dose di 10 mg, la clearance renale dell’acido alendronico è stata 71 ml/min. e la clearance sistemica non ha superato i 200 ml/min. Le concentrazioni plasmatiche si sono ridotte di oltre il 95% entro 6 ore dalla somministrazione endovenosa. È stato stimato che l’emivita terminale nell’uomo superi i dieci anni, riflettendo il rilascio dell’acido alendronico dallo scheletro. Nel ratto, l’escrezione renale dell’acido alendronico non avviene mediante sistemi di trasporto acido-base e di conseguenza non si prevede che nell’uomo interferisca a questo livello con l’escrezione di altri farmaci.

Caratteristiche nei pazienti

Gli studi preclinici mostrano che il principio attivo che non si deposita nell’osso è rapidamente escreto nelle urine. Non è stata rilevata evidenza di saturazione della captazione da parte dell’osso a seguito di somministrazione a lungo termine di dosi endovenose cumulative fino a 35 mg/kg negli animali. Sebbene non siano disponibili dati clinici, è probabile che, come nell’animale, l’eliminazione dell’acido alendronico per via renale sia ridotta in pazienti con insufficienza renale. Di conseguenza, si potrebbe prevedere un accumulo leggermente superiore di acido alendronico a livello osseo in pazienti con insufficienza renale (vedere paragrafo 4.2).

Alfacalcidolo

L’alfacalcidolo, il principio attivo dell’alfacalcidolo in capsule da 1 microgrammo, è stato testato come precursore dell’1-alfa-25-diidrossicole­calciferolo tramite la marcatura radioattiva negli studi sugli animali e nell’uomo. In presenza di insufficienza renale è stata mostrata una rapida 25-idrossilazione epatica.

5.3 dati preclinici di sicurezza

Non sono stati condotti studi non clinici sull’associazione di alendronato e alfacalcidolo.

Alendronato

I dati non clinici non rivelano particolari rischi per l’uomo sulla base di studi convenzionali su sicurezza farmacologica, tossicità a dosi ripetute, genotossicità e potenziale cancerogeno. Studi nei ratti hanno mostrato che il trattamento con alendronato durante la gravidanza è stato associato a distocia legata all’ipocalcemia nelle madri durante il parto. Negli studi, i ratti ai quali sono state somministrate le dosi più alte hanno mostrato una maggiore incidenza di ossificazione fetale incompleta. Non è nota la rilevanza di tali reperti per l’uomo.

Alfacalcidolo

Negli studi sugli animali, è stata osservata tossicità riproduttiva a dosi molto più elevate rispetto al range terapeutico per l’uomo.

6. informazioni farmaceutiche

6.1 elenco degli eccipienti

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Tevabone

Compresse di acido alendronico da 70 mg

Cellulosa microcristallina, croscarmellosa sodica, magnesio stearato.

Alfacalcidolo in capsule molli da 1 microgrammo

Acido citrico, propile gallato (Ph. Eur.), tutto-rac-alfa-tocoferolo, etanolo, olio di arachidi, gelatina, glicerolo 85%, miscela di D-mannitolo-D-sorbitolo-sorbitano-polioli di ordine superiore (0 – 6% / 25 –40% / 20 – 30% / 12,5 – 19% / 15–17% di acqua) e titanio diossido (E171).

Inchiostro di stampa: Gommalacca, ferro ossido nero (E172), etanolo, 2-propanolo, butan-1-olo,etilacetato.

6.2 incompatibilità

Non pertinente.

6.3 periodo di validità

3 anni.

6.4 precauzioni particolari per la conservazione

Non conservare a temperatura superiore ai 25°C.

Conservare nella confezione originale per proteggere il medicinale dalla luce e dall’umidità.

6.5 natura e contenuto del contenitore

Tevabone

Acido alendronico in compresse da 70 mg: blister strip in alluminio/allu­minio.

Alfacalcidolo in capsule molli da 1 microgrammo: blister strip in alluminio/allu­minio.

Una confezione contiene:

2 compresse di alendronato e 14 capsule molli di alfacalcidolo

4 compresse di alendronato e 28 capsule molli di alfacalcidolo

8 compresse di alendronato e 56 capsule molli di alfacalcidolo

12 compresse di alendronato e 84 capsule molli di alfacalcidolo

È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate.

6. 6   Precauzioni particolari per lo smaltimento

Nessuna istruzione particolare.

7. titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio

Teva Pharma B.V.,

Computerweg 10, 3542DR Utrecht

Paesi Bassi

8. NUMERO(I) DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO

9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE